Amplificatore per chitarra

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Storia dell’amplificatore

L’amplificatore per chitarra è un dispositivo di invenzione relativamente recente. Mentre i primi amplificatori nascono agli inizi del 19° secolo assieme alla televisione ed alla radio, l’amplificatore comincia ad essere utilizzato in combinazione con la chitarra solo nei primi anni 50, quando la Fender, nota azienda americana produttrice di chitarre, lancia sul mercato i primi esemplari di chitarra elettrica solid-body. Sarà, quello tra ampli e chitarra, un binomio indissolubile per la musica contemporanea, particolarmente vivo nell’immaginario del chitarrista rock.

I primi amplificatori erano del tipo a valvole termoioniche, molto sobri nell’aspetto, e producevano spesso ronzii fastidiosi. In seguito i circuiti valvolari verranno soppiantati da quelli a transistor, molto più affidabili e prestanti, anche se il suono finale risulterà avere caratteristiche timbriche diverse.

Nel 1962 la Marshall, nota casa inglese attualmente leader del settore, comincia a produrre amplificatori. In seguito vedremo, con la nascita di numerosi nuovi modelli di chitarra e con il moltiplicarsi delle esigenze e delle sperimentazioni in ambito musicale, l’affermarsi sul mercato di numerose altre case di produzione, impegnate nella costruzione di amplificatori di diversa potenza e qualità.

Oggi esistono in commercio centinaia di modelli di amplificatori, sviluppati con attenzione particolare a questo o quel genere, specifici per uno strumento o una particolare circostanza, e grazie ad essi un chitarrista modella effettivamente la pasta del proprio personale sound.

L’ amplificatore risponde infatti all’esigenza primaria di migliaia di musicisti, quella di permettere la diffusione del suono ed al contempo la “creazione” dello stesso, lavorando su elementi come il timbro, la pulizia, la potenza, l’equalizzazione.

Ecco perché il suo acquisto rappresenta un passaggio fondamentale nella definizione del proprio “trademark” musicale. Un amplificatore per chitarra differisce dagli altri amplificatori per il fatto di concentrarsi sulle frequenze medie, e di essere progettato per lavorare con la distorsione.

Esistono, specifichiamo, amplificatori anche per basso, per microfono ed altri strumenti, e spesso questi differiscono dagli ampli per chitarra per numerose caratteristiche.

Come funziona

Comprendere il funzionamento di un amplificatore per chitarra può essere interessante per due ragioni: sviluppare maggiore consapevolezza relativamente al mezzo, così da effettuare scelte più oculate al momento dell’acquisto, oppure semplicemente per acquisire quelle informazioni che ci consentano di modificare a piacere il nostro amplificatore o di costruirne uno da zero.

Cosa fa un amplificatore? Lo scopo di un amplificatore è quello di agire su un segnale, nel nostro caso il segnale proveniente dai pickup (ovvero quei dispositivi elettrici montati sulle chitarre, di tipo humbucking o single-coil, che servono a convertire in impulsi elettrici le vibrazioni delle corde) della chitarra elettrica, amplificandone la potenza. Utilizzando una definizione tecnica molto semplificata, l’amplificatore serve ad incrementare il segnale.

La potenza di un amplificatore è espressa in Watt, ed il suo valore ci consente di stabilire se l’amplificatore sarà idoneo all’uso che intendiamo farne. Amplificatori per chitarre con potenza di 10-20 watt sono adatti a contesti “intimi” e spazi piccoli, mentre per un’amplificazione di concerti ed eventi live si parlerà minimo di 100 watt per ottenere una risposta adeguata.

Quel che è essenziale sapere, al di là di complessi approfondimenti di carattere tecnico, è che tramite l’amplificatore noi potremo controllare volume, tono, riverbero, distorsione ed altre caratteristiche del suono che andiamo a produrre con la nostra chitarra elettrica.

Oltre a delle componenti che in seguito descriveremo, le valvole e i transistor, le componenti principali di un amplificatore sono tre:

  • il preamplificatore o “pre”, utilizzato per incrementare la potenza dei segnali che provengono dai pickup;
  • un finale di potenza che alza la potenza del segnale fino a muovere il cono dell’altoparlante;
  • le casse, dette anche diffusori o appunto altoparlanti, che si occupano di riprodurre il suono.

Maggiore sarà il diametro del cono, migliore sarà la resa delle basse frequenze. Un amplificatore che si rispetti ci consente di scegliere, per la resa finale del suono, tra due canali: il canale clean, ovvero il suono pulito, e quello lead, il canale distorto, selezionabili tramite uno switch. E’ opportuno che entrambi i canali siano dotati di controlli separati per l’equalizzazione. Inoltre, un ampli può contare anche sul controllo di effetti come il riverbero o il chorus, utili per conferire maggiore presenza al nostro suono.

Perché l’amplificatore possa funzionare ci sarà comunque bisogno di due cavi: uno collegherà la chitarra all’ingresso dell’ampli, l’altro collegherà l’ampli stesso alla presa di corrente. Se disponiamo di pedaliere multieffetti o di singoli effetti per chitarra, allora la configurazione più diffusa prevede questo percorso: chitarra>effetto>amplificatore. Nel caso in cui adottassimo un sistema testata+cassa o a rack, sfrutteremo un collegamento a cascata (preamplificatore>effetti>amplificatore) o in send/return (pre>effetti>pre>amplificatore).

Amplificatori a transistor

Ci occupiamo ora di una distinzione fondamentale, quella tra le “due vie” nelle quali si imbatte chi si appresta a scegliere il proprio amplificatore. Le due vie, attraversate anche da una sorta di sentiero di collegamento che coincide con nuove tecnologie ibride, sono quelle dell’amplificatore valvolare e dell’amplificatore a transistor.

Abbiamo detto che i transistor sono quelle componenti elettroniche che hanno soppiantato, per affidabilità e qualità, le valvole in molti settori dell’elettronica. Cominceremo da loro, perché gli ampli a transistor sono diffusissimi in commercio e molto versatili.

Anzitutto, cosa sono i transistor? Si tratta di dispositivi, detti anche transistori, a stato solido, costituiti da semiconduttori, che servono nel nostro caso ad amplificare dei segnali elettrici. Essi hanno l’identica funzione dei triodi per le valvole (vedremo in seguito cosa fanno i triodi), con la differenza che non richiedono di essere scaldati per funzionare. Non andrò nel dettaglio per non complicarci la vita.

Per quel che riguarda l’amplificazione, i primi amplificatori per chitarra a transistor nascono negli anni ’60, seguendo a ruota i valvolari.

Uno dei vantaggi dell’amplificiatore a transistor, il più immediato, sta nel costo, decisamente più contenuto grazie ai ridotti costi di produzione, e alla maggiore affidabilità. Poi l’amplificatore a transistor assicura alta fedeltà (Hi-Fi), ossia riproduce il suono con maggiore esattezza, e va incontro a minori problemi di deperimento. Le valvole sono, in verità, molto più delicate.

Per quel che riguarda la resa sonora, il suono prodotto dai transistor è più secco, piatto, ecco perché molti chitarristi metal prediligono questo tipo di amplificatori. Si tratta, comunque, di preferenze personali, e la scelta migliore è sempre quella modellata sulle proprie esigenze.

Esistono in commercio ibridi che utilizzano un paio di valvole per la preamplificazione, mentre in seguito il suono viene trasmesso ad uno stadio di amplificazione a transistor. Circuiti ibridi come questi consentono di risparmiare nell’acquisto mantenendo una qualità notevole del suono.

Amplificatori a valvole

Un amplificatore valvolare è imperniato sull’utilizzo di valvole. Cosa sono le valvole? Le valvole sono componenti elettrici un tempo molto utilizzati nell’amplificazione, ed oggi soppiantati da nuove tecnologie, tra cui appunto i transistor.

La loro applicazione tuttavia permane ancora nell’ambito dell’amplificazione per strumenti musicali, dove il valvolare è spesso sinonimo di qualità, oltre che di costi elevati. Una valvola somiglia molto nell’aspetto ad una lampadina.

Le sue componenti elettroniche principali sono tre: un anodo, un catodo e una griglia di controllo localizzata tra i due, collegati tramite un opportuno filamento che serve a riscaldare il catodo. Questa configurazione fa della valvola un triodo, un accoppiamento di tre elementi elettrici. L’anodo sarà caricato positivamente, il catodo negativamente, ed il tutto sarà inserito in un bulbo di vetro. Volendo ancora una volta ricorrere a termini più specifici, la valvola prende corrente da una fonte alternata convertendola in continua. In un amplificatore, dunque, serve a garantire la continuità del segnale.

Un amplificatore valvolare, che non sia del tipo ibrido, monta due set di valvole, quelle del finale, le più grandi, e quelle del preamplificatore, di dimensioni ridotte. Le valvole del pre servono ad amplificare il segnale ed a plasmarne il timbro, quelle del finale conferiscono al segnale la potenza necessaria.

Le valvole restituiscono, possiamo dire, un timbro unico ed inconfondibile (si dice timbro quel parametro sonoro che rappresenta il “colore” del suono, consentendo di distinguere la sua fonte). Sono molto amate da tanti chitarristi perchè producono un suono caldo, dolce e pastoso, e soprattutto consentono di ottenere distorsioni molto interessanti.

Rispetto agli amplificatori a transistor, infatti, la saturazione aumenta gradualmente. Prima di usare l’ampli valvolare si consiglia di accenderlo per qualche minuto per far riscaldare le valvole, che lavorano con alte temperature.

Dopo averlo usato, le valvole vanno lasciate raffreddare, per evitare danneggiamenti. E’ necessario anche sapere che un ampli valvolare richiede che, di tanto in tanto, le valvole, logorate dall’uso, vengano sostituite. Meglio affidare il cambio ad un tecnico, che sappia valutare il tipo di valvole da inserire e compiere tutte le operazioni del caso.

Sistemi: combo, rack, stack

Troviamo gli amplificatori per chitarra, generalmente, assemblati secondo tre modalità. Preferire l’una o l’altra rappresenterà una scelta dettata dal gusto, dalle esigenze personali e dall’esperienza acquisita con il tempo in materia di amplificazione.

La prima modalità è detta modalità COMBO: l’amplificatore è composto da una sola cassa, all’interno della quale sono localizzati sia i controlli che l’altoparlante o gli altoparlanti. La cassa ospiterà dunque i controlli di volume, di tono, gli eventuali effetti, gli ingressi per gli strumenti e gli amplificatori. Questo tipo di amplificatore è l’ideale per chi non ha particolari esigenze legate ad esibizioni live & affini, è molto adatto ad essere trasportato con facilità. Si presta egregiamente ad essere utilizzato da chi, alle prime armi, vuole entrare in contatto con il mondo degli amplificatori cercando di acquisire esperienza e familiarità con il mezzo. Ma è anche utilizzato da numerosi professionisti.

La seconda modalità è detta TESTATA+CASSA (stack): i controlli, ossia il preamplificatore e il finale, sono ospitati in un alloggio separato rispetto agli altoparlanti (detti anche cabinet), che necessitano di essere collegati tramite cavi alla testata. Le casse in commercio possono essere da 2, 4 o 6 coni.

Una terza modalità è il sistema detto a RACK (moduli), formato da un’unità più complessa costituita da pre+finale inclusi in un rack, e la cassa separata. In questo caso il sistema può raggiungere dimensioni notevoli ed essere organizzato in più moduli.

Il combo è molto adatto ad essere trasportato, ma quando l’amplificatore dovesse raggiungere dimensioni notevoli, la cosa diverrebbe decisamente meno comoda. Poi il combo sarà limitato agli altoparlanti (massimo 2) applicati al finale di potenza: non ci sarà possibile, dunque, potenziare l’amplificazione del nostro suono. La comodità del modello testata+cassa o del rack è intuitiva: sarebbe improponibile un amplificatore con 5 o 6 casse del tipo combo, enorme e quasi impossibile da trasportare a mano!

La scelta dell’amplificatore

La scelta dell’amplificazione, dicevamo, è un momento topico per il chitarrista. Come per la scelta di ogni altro strumento, il primo parametro da valutare sarà l’uso che si intende farne, il contesto per il quale è prevista la fruizione.

Una scelta del genere nasce anche e soprattutto dall’esperienza, e dalla consapevolezza di voler ottenere un certo tipo di suono, con qualità specifiche, con un timbro specifico, adatto alle esigenze della propria musica ed al genere che si intende proporre. E’ questo un passaggio più complicato, che richiede esperienza.

Ecco perché si consiglia, ai principianti, di affidarsi a sistemi combo, per evitare grosse spese e soprattutto per guadagnare consapevolezza relativamente al suono che si vuole ottenere. Il performer live o il turnista, invece, necessiteranno di una strumentazione più specifica, avendo oramai “riconosciuto” il suono che intendono ottenere ed i passaggi e la strumentazione necessari per riprodurlo. Ma il fattore più importante, dicevamo, è il contesto: sapendo di dover suonare unicamente a casa, sarà quantomai inutile pretendere di acquistare amplificatori da 200W per poi utilizzarli solo al 10% del volume.

Un amplificatore, è risaputo, rende il massimo al 50-60% del volume. Per un uso domestico basteranno dunque 20 o 30W, facendo attenzione magari a non importunare il vicino di casa. Un’altra mossa molto indicata per chi suona in casa potrebbe essere l’acquisto di amplificatori che montano una gamma di effetti più vasta, questo per evitare l’ingombro di pedalini o multieffetto, e rendere più immediata la fruizione.

Il consiglio, in ogni caso, è quello di provare di persona molti amplificatori prima di procedere con l’acquisto. I negozianti solitamente sono disponibili, e nessuno vi vieta di fare più tentativi, valutando l’investimento necessario. E’ sempre bene, inoltre, provare un amplificatore con la propria chitarra: il suono finale è infatti determinato anche e soprattutto da quest’ultima.

Un’altra opportunità, se avete voglia di investire, potrebbe essere quella di studiare i setup dei grandi chitarristi ed imparare da loro, preoccupandovi ovviamente di dare al tutto un tocco personale!

Publicato: 2010-04-03Da: Redazione

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